Tradimenti nella Storia. Caporetto e il caso Cadorna

Il professore padovano Marcello Flores fa rivivere luci e ombre di una disfatta avvolta nel mistero. Mussolini, Cesare Battisti, Mata Hari, Lenin e Assange: il volume ripercorre le vicende travagliate di personaggi «infedeli»

Sacrario Militare di Caporetton 1938

Lo ha spiegato il gentiluomo inglese John Harrington (1560-1612): «Il tradimento non ha mai successo. E se ha successo nessuno osa chiamarlo tradimento». Tradire non significa solo spiare o rinnegare le proprie idee vendendole al nemico ma anche non combattere come si potrebbe-dovrebbe o intestarsi battaglie per la trasparenza e l’informazione condivisa. È la fenomenologia del traditore, da Lenin ai coniugi Rosenberg, da Mata Hari fino a Edward Snowden e Julian Assange. Con un capitolo tutto a Nord Est dedicato alla Grande Guerra: il generale Luigi Cadorna e la dodicesima battaglia dell’Isonzo che il 24 ottobre 1917 si trasformò nella disfatta di Caporetto. Le difese italiane crollarono e le truppe austro-tedesche penetrarono in Friuli. Ma l’alto ufficiale italiano non trovò di meglio che scaricare tutte le responsabilità sui propri soldati italiani.

Una galleria di volti e misfatti (ri)vive nell’avvincente saggio dello storico padovano Marcello Flores, Il secolo dei tradimenti. Da Mata Hari ai Rosenberg 1914- 2014 (il Mulino, 323 pagine, 24 euro). Il 28 ottobre 2017, il bollettino di guerra redatto da Cadorna recita:

«La mancata resistenza di reparti della Seconda Armata, vilmente ritiratisi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico, ha permesso alle forze austro-germaniche di rompere la nostra ala sinistra sulla fronte Giulia».

In pratica si fa ricadere ogni colpa sui soldati italiani: l’accusa farà il giro del mondo.

Un altro autorevole storico, Saverio Cilibrizzi, scrive:

“Luigi Cadorna doveva pensare che il prestigio e l’orgoglio di qualsiasi uomo sono ben poca cosa di fronte al prestigio e all’onore di un esercito e di una Nazione”.

Non meno gravi le responsabilità di un altro generale, Luigi Capello. Lo stesso Maresciallo d’Italia, Enrico Caviglia, rivelò:

“Il torto più grave del generale Capello fu d’aver attribuito la disfatta (confortando così il Comando Supremo ad esprimere lo stesso giudizio) alla scarsa resistenza delle truppe, e non già agli errori propri e di altri Comandi”.

Ma Flores allarga la sua analisi. Un caso tipico – racconta il saggista che ha insegnato nelle Università di Siena e Trieste – è il trentino Cesare Battisti, suddito degli Asburgo che li combatte con la divisa dell’esercito italiano e, catturato, viene impiccato dopo un processo sommario. Ancora. Benito Mussolini viene tacciato di tradimento dai suoi ex compagni del Psi quando si schiera per l’intervento in guerra, ma poi è lui ad avere buon gioco nel proclamare che chi non appoggia lo sforzo bellico favorisce il nemico e pugnala alle spalle l’Italia. Emblematico il caso Mata Hari. Sostiene Flores:

«L’accusa verso Mata Hari, chiaramente costruita su basi inesistenti e su labilissimi prove, è anche un modo per colpire la donna nel momento in cui la battaglia per l’emancipazione ha assunto un ritmo (…)».

Il tradimento è anche la Storia politica e culturale dei due blocchi, le superpotenze che non finiranno mai di contrastarsi, ieri come oggi. Mosca ad esempio, agli occhi dell’Occidente, è il simbolo dello spionaggio e dei tradimenti. Nell’Urss, scrive Flores, «la sindrome della guerra civile latente e del tradimento diventa costitutiva della mentalità di governo». Ma il sospetto contagia anche i molto democratici Stati Uniti. Si spiega così la caccia alle streghe fomentata dal senatore Joseph McCarthy e culminata nell’esecuzione dei coniugi Julius ed Ethel Rosenberg. In realtà riflette Flores, «l’idea di tradimento, la percezione e il giudizio che ne danno i contemporanei e i posteri, cambia più profondamente di quanto non ci dicano le definizioni filosofiche, le formalizzazioni giuridiche, le tipologie costruite dai modelli sociologici». Insomma, il tradimento come la vita: in perenne evoluzione.

Corriere di Verona, Massimiliano Melilli